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sabato 31 marzo 2012

Camera 505 - Bianco Fermo

 "Scrivi qualcosa se vuoi, scrivi tutto quello che non gli hai potuto dire...scrivi, scrivi una lettera e poi dalla a me e gliela poserò accanto..."

Ho i piedi gelati, le coperte rigide degli ospedali non scaldano, pesano soltanto, come coperte di soldati al fronte. Li ascolto muoversi dentro di me come pesci rossi in una sfera di vetro scivolano sotto la mia pelle, guizzano poi si acquietano. Vedo solo bianco, una porta che sia apre e lei che entra luminosa come una dea e mi guarda forte. La anticipo, fermo le sue parole e mentre la guardo in quegli occhi che promettono fortune le dico che lo so già. Sei andato via.

Non ti ho scritto nulla. Ho preso un foglio e sono stata a guardarlo. Bianco, come me. E il colore non riusciva a sporcarlo. Bianco fermo.
E bianca volevo esserti. Bianca di luce e carezze. Sollevarti io come quella volta che mi prendesti in braccio prelevandomi da quel lettino per riportarmi a casa. Bianca come le divise candide delle infermiere chine a proteggermi con sorrisi e mani ferme.
Mai, dico mai, ti avevo sentito dire "non ce la faccio piu'" tu con quelle braccia forti, quei muscoli tesi sotto la pelle andavi sempre avanti, come dicevi sempre a noi di fare, camminavi a testa alta scivolando sugli aghi e sugli arnesi che ti frugavano.
Mi hai insegnato che si può essere forti e sollevare pesi, spostare pile di casse, saltare giu' dai camion, dare un pugno a un tale se proprio non c'è altro modo per difendersi, costruire una casa per dare un posto alla tua famiglia, lavorare, lavorare, lavorare. Mi hai insegnato sopratutto che "si può fare", fare con le proprie forze e con la tenacia e che l'invidia è un sentimento comodo, troppo comodo, per chi non ha voglia nè capacità per fare, per chi si aggrappa solo ai "se" ed ai "ma".
Ti penso avvolto in una nuvola di fumo e ne vorrei aspirare un pò anche adesso che non ci sei, chiudere gli occhi e sentire solo il tuo odore, fumo, sentirti scivolare nelle mie narici e trattenerti un pò prima che tu torni ad essere soltanto anima. Ti vedo. Seduto alla seggiola accanto alla finestra, lo sguardo assorto, il corpo teso, le tue spalle forti e fumo tra le tua dita, solo tu e la sigaretta e i tuoi pensieri sotto i piedi. Sei distante, sempre...irraggiungibile.

L'ultima volta che sono stata da te solo tre settimane fa avevi gli occhi incollati sulla mia pancia immensa, non riuscivi a dividerti da lei e io avrei voluto nasconderla un pò per averti per me, almeno una volta solo per me per sentire le tua mani ruvide asciugarmi le lacrime inarrestabili mentre volevo dirti tutto, non so quale tutto e di che tutto ma avrei voluto fermare il tempo e dirti e abbracciarmi a te e chiederti tutto del passato, di te, dei tuoi dolori che a volte ci voleva poco per vederli riaffiorare, per farti commuovere, anche se eri abilissimo a tornare rigido, quasi altero...un Principe della strada eri.

Non ti ho scritto nulla e non ti ho tenuto la mano mentre te ne andavi. Ero e sono qui incollata a questo letto, avvolta nel bianco. "Scrivi"...scrivo, si. Scrivo ma non mi viene niente, le parole fluttuano come queste vite che mi abitano dentro. Fluttuo insieme a loro, sono loro...la luce filtra attraverso le mie palpebre, ti penso elegante nel tuo abito scuro in mezzo a tutte le persone che ti vogliono bene, io lontana e piena di vita.

mercoledì 7 marzo 2012

Camera 503 - La Bicicletta

Ho di nuovo una bicicletta mamma.
Vedessi come salto bene sulle buche alzandomi un pò dal sellino. Scivolo giu' dal ponte come quegli sciatori che saltan giu' e volano volano volano sospesi e rapidi come gli sguardi di una stazione.
Ho anche un cestino in vimini intrecciato e con la colla a caldo ci ho incollato in un angolino tre margherite. Le margherite mi rassicurano, sanno di buoni giorni, luminosi e freschi di bucato.
E ho di nuovo anche te mamma, che forse eri smarrita nella tua vita di donna e di figlia. Ci sei, sai accogliermi di nuovo in grembo, in quei tuoi sguardi da cane a padrone che solo le madri possiedono.
Dev'essere così che guardo i miei figli, così che non resisto e li bacio sulla fronte aggrappando la mia guancia sul loro viso. Prigioniera e rapita.
Forse hai ritrovato anche tu la tua bicicletta o il monopattino o qualche arnese che ti ha rimessa in moto. Ma ora ti ho con me che a volte vorrei essere capace di stringerti o di chiederti se puoi farlo tu, tipo strizzarmi come un panno vileda prima di passarlo sul piano di vetro del tavolo del soggiorno.
La mia bicicletta mamma. Ricordi? Me l'avevano rubata un sabato di primavera, anzi, l'avevano rubata al papà. Eri andata a comprarne una nuova (subito). Celeste e con i copriraggi Ma non era la mia bici, quella delle gambe distese, delle solitarie gite tra i fossi a bagnarsi i piedi e intrecciare bracciali di fiori, del respiro e del vento tra i capelli. E non aveva il cestino.
Era una cosa estranea.
Ero ferma. A piedi. Odiavo camminare che mi si slacciavano sempre le scarpe. Tu ci avevi provato ad insegnarmelo ma riuscivo a fare i fiocchi piu' scioglievoli del cioccolato al latte.
Camminare a lungo a piedi mi faceva sentire sperduta, con la minaccia dei lacci che si sarebbero sciolti, della mia schiena che non sarebbe riuscita a farmi raggiungere agevolmente le scarpe per riallacciarle e di tutti i passanti che uno-ad-uno si sarebbero fermati, avrebbero mollato i sacchetti della spesa, le auto, il cane, il giornale per fermarsi a guardare me che mi allacciavo le scarpe in modo da far invidia ad una contorsionista russa.
Mi sono fermata una ventina d'anni mamma senza quella bicicletta.
A piedi ho fatto poca strada e combinato un sacco di casini. Quei lacci mi facevano inciampare. Ho anche provato ad indossare stivali. Un pò di strada l'ho fatta e pure con le parigine altissime con i lacci a cui facevo il doppio nodo. Ma è stato un muoversi lento, incerto e faticoso.
Ora me la sono comprata.
 Scontata. 
Bellina.
 E col cestino.
Vedessi mamma, anzi, vedrai! Sta li pronta sai?! Che la prima domenica mattina che sarò a casa, uscirò presto con la mia bicicletta. Farò tappa per un caffè e una brioche al burro, disegnerò un nuovo percorso, differente.
Percorrerò quella strada di stelle filanti fino al ponte e mi fermerò in alto a guardare le vite che passano veloci. Storie, luci e riverbero del sole sulle lamiere.
Poi, mollerò i freni e mi lascerò scivolare giu' giu' giu' fino all'angolo della strada degli orti. 
In quei prati che incorniciano la strada ci sono sempre macchie versate di fiorellini indaco, li chiamavamo occhi-della-madonna. Miniature perfette, delicati prodigi.
Li porterò da lei, da quella statuetta smozzicata dal tempo, appoggiata tra speranze veloci, polvere. e piccoli insetti. E' sempre così bella col suo manto azzurro e quel sorriso avvolgente.Quando sparivo mamma stavo lì. Era il mio posto segreto.

Mi fermerò li seduta a terra o chissadove e piangerò, piangerò piano per  il mio amore finito e chiederò perdono per aver fallito e per il dolore inferto che fa quasi peggio male di quello ricevuto.
Poi respirerò a fondo.
Riempirò il mio cestino di fiori e mi porterò a spasso tra i capelli coccinelle. 
Andrò pedalando verso casa...
 Leggera. 
Con la mia bicicletta.