Pagine

martedì 1 ottobre 2013

Camera 3009 - Caramelle e buchi neri

"UN _ DUE _ TRE...STELLA !!!"  

Ecco il modo perfetto per sfuggire alle delusioni con gli uomini. Ad un certo punto basta sparire dopo il TRE ed andarsene in letargo un mese, un anno, un minuto conficcato in un buco nero. Giusto il tempo di ri-posare il cuore per poi ritrovarlo (magari) misteriosamente avvolto in delicata carta velina, quella che ti da il senso del cosa-provi, quella che qualcuno riuscirà a scartare (ancora?! Siiiii) provocando quella vibrazione, quel fragore gentile (come il soffritto sfrigolante nella padella insomma).
Intanto riprendo in mano la teoria filosofica di un pittoresco personaggio incontrato mesi fa durante un viaggio, teoria che si riassume piu' o meno così: "...io le cose ce le spiego, poi, alla prima che fanno parte la penaliti ed alla terza penaliti: fuori!" e così mi appunto le mie "cose da penaliti", giusto per memoria, perchè non vorrei risvegliarmi dal letargo e rincominciare tutto daccapo.

COSE DA PENALITI

- dire alla prima uscita che "le donne sono tutte aggressive"
- proporre per 5 uscite su 5 "stiamo un pò da me tranquilli"
- rispondere alla proposta "facciamo qualcosa che non sia tranquillamente casa tua" "ok, certo, decidi tu"
- chiamare quando esci dall'ufficio tu (peccato che io non sono ancora uscita) 


COSE DA CARAMELLE E BACI

- avere tra i dischi in vinile tutti gli lp dei Police e farli suonare
- avere un frigo pieno di frutta e scatolette
- passare la mano per spostare i capelli dagli occhi mentre stai per baciare (me)

Intanto che vado in letargo un minuto in quel buco nero in fondo lì, alla fine del sistema solare, continuate voi?!

venerdì 28 giugno 2013

Camera 2506 Sogni e segni

Ululando alla luna (in silenzio) ti lascio partire, smettendo di chiedermi cos'è quella scia di assenza che traccia l'aereo lassu' con te e i tuoi sogni (che sono pure i miei).

Ti ho messo in mano quelle valigie, un possibile lavoro e cinquecento sterline con cui innaffiare prati di sogni sui quali traccerai il tuo futuro ed ora sto qui ad ululare per non chiederti se hai freddo o fame o paura perchè mi prenderei a calci ma la madre bussa sempre con coperte, carezze e dolcezzevarie, bussa pure ora che sto in aereoporto con un cartello affisso sulla porta del cuore che recita un: "Torno subito".

Il cielo bludenso, le nuvole scompigliate dal vento e un arnese con le ali che ti tiene nella pancia e ti porta verso nord.

Il parcheggio, il ticket, le monetine, un "fuori servizio".

Il caso, il destino, una coperta e io che aspetto di avere di nuovo fame.

giovedì 16 maggio 2013

Camera 513 - Disegni nell'aria

Mentre sto avvolta tra le sue braccia e mi lascio portare dalla musica, mentre sento la sua presa e non ho piu' il tempo di decidere se pensare o lasciarmi soltanto andare perchè quando ha allungato la sua mano verso di me sorridendo ho siglato il mio contratto silenzioso, mentre...

Guido con quel ritmo fluido e ondulato nella testa e penso a Fabrizio, un tale con cui ho ballato un pò piu' che con altri stasera, il massiccio Fabrizio che ballando mi chiede che lavoro faccio ed io lo seguo e mi risponde che fa l'operatore ecologico ed io che ballo e mi lascio portare e sorrido e cerco di seguire il ritmo di questa musica che proprio non è robamia ma è una cosa nuova, un posto nuovo da scoprire, nuove suggestioni semplici come il tocco di una mano, dei ritmi che si incastrano creando voluttuosi disegni nello spazio.

Mi muovo e dopo mesi e mesi  ho di nuovo voglia di scrivere, di raccontare di come una pista da ballo sia un luogo democratico dove un uomo ed una donna vestiti solo di musica (beh pure di qualche straccetto addosso eh?!) si muovono, al di la delle sovrastrutture, delle classi sociali, dei conti correnti, dell'età o di qualunque altra cosa...Una semplice pista da ballo azzera tutto, la musica fa da ponte e due persone si avvicinano, alle volte tanto da sentire il cuore dell'altro battere, e tracciano disegni nell'aria con i corpi e gli sguardi, un tracciato vitale.
 

...la musica che suona si chiama kizomba e viene dall'Angola e fa così...

Poi, appena un passo dopo la fine della pista c'è il mondo. E giocarsela è un'altra cosa...

venerdì 30 novembre 2012

Camera 3011 - Nuda

Sto qui sulla collina a contemplare le maestose mura di questo castello di certo posato qui con un gesto leggero da un eroe di un mondo antico .Una coltre di viti decorata da ricami di bocche di leone, fiori di maggio e margherite si snoda alle sue pendici come un dono agli Dei, offerto con il capo chino. 
Il vento sconvolge lo sguardo verso ogni prospettiva, tra tetti dai coppi sconnessi, terrazzi con abiti che garriscono come giulivi gagliardetti che sfilano tra case diroccate e persone (poche) appese strette  strette ai propri vestiti per non cedere al concupiscente vento che le vuole nude.
Nude come le donne dipinte su queste tele, figure lanciate da lontano con un gesto violento che le allarga e distorce, gemono tra linee incise da un coltello, i colori a schiaffeggiarle e i gemiti del vento a dargli voce ed io rapita che mi attacco un cartello negli occhi con scritto "Torno Subito".
Fausto Pirandello

Mura possenti attorno e poca aria come nel fondo di un profondissimo pozzo in cui sono senza fiato con i sensi a cogliere un segno, una luce, un punto sconnesso tra le pietre che mi circondano o un arnese che possa scalfirle.

Uno scalpiccio pigolante mi riporta indietro, ne seguo il suono, quel rimestare soffuso e scorgo nel muro una sottile feritoia. Mi alzo sulla punta dei piedi ma salirei anche sul tavolo se servisse e se avessi come colonna sonora un pezzo di Gloria Gaynor ma la visuale mi si apre in piano e  due uccellini con gli occhi da pesci senz'acqua rimestano tra rami spezzati e foglie e il sole gli fa da coperta in attesa del cibo materno.

Sorrido complice della vita e della bellezza, della solitudine e della cura altrui,della tenerezza e anche del freddo-dentro.

Sorrido, ancora, della tenacia e dell'incertezza e pure della paura e della lucida determinazione. 

Sorrido, tra le dissonanze di questi giorni miei e mi ricordo che è quasi ora di pranzo e che fuori c'è un meraviglioso possente vento che  prende e scompiglia l'anima (e c'è un ristorante che prepara magnifici spaghetti alla bottarga)...esco e mi lascio rapire dal vento, gli occhi chiusi ad assorbire il calore e il sole ad infilarcisi come fili lamè nella trama della mia anima a ridar luce ed un nuovo sentire.

giovedì 13 settembre 2012

Camera 1409 (Sfumature di grigio)

Ed eccomi qui a rollare sospinta su di un lettino mentre mi stanno accompagnando in uno dei percorsi in cui da mesi mi trovo immersa dopo che tenaglie e bulloni mi hanno cambiato qualcosa dentro. Scivolo, mi muove energia umana, presenze liquide di cui perdo i contorni già nel tragitto.
Lunghi corridoi sotterranei, il rumore metallico che scorre che neanche me accorgo piu' e mi pare tutto silenzio, 'che ormai ci sono abituata al grigio, infinite sfumature di grigio e al silenzio in cui galleggiano voci, suoni lontani e odore di muffa e the-finto delle macchinette.

C'è una festa oggi, l'ha detto Marco, ci siamo incontrati in uno dei lunghi corridoi grigi, io scivolavo verso una porta lui rullava sulle sue ruote, verso la mia stessa porta, quella che qui chiamano scuola ma a che noi ci pare solo una delle tante porte che si aprono a sorpresa per noi e dove di solito la sorpresa non è mai piacevole.

E' così quella era una delle mie porte che si apriva su un grasso corridoio dove i banchi  stavano schierati in mezzo su due file contrapposte. Sullo sfondo  il banco di Marco e altre postazioni simili con una macchina da scrivere ed io che me ne sto ormeggiata accanto ai banchi, fluttuante perchè all'occorrenza ciascuno si sente autorizzato a spostarmi e ricollocarmi altrove, sono una cosa ma che palpita e fa bum bum bum.

Io.

Io soltanto.

Io che guardo il soffitto e vorrei saper maledire tutto-il-mondo-mondiale ma il massimo che conosco è un "vatti a sparare" che a tavola mesi addietro aveva fatto infuriare mio padre. Così, col pensiero do del vatti-a-sparare ad ogni banco su cui non posso posare le mie mani, alle sedie sulle quali non posso sedermi, al cielo che non mi fa da tetto da mesi, a tutto il freddo che mi avvolge fuori e accoltella dentro, alle altre macchie sbiadite sedute alle sedie con o senza rotelle ed al grigio delle pareti e della professoressa...(vatti-a-sparare-vatti-a-sparare-vatti-a-sparare)
-Almeno, la prego non se ne venga fuori con la lezione di matematica eh?! e intanto che c'è si vada a sparare-
Marco invece pare sempre completamente preso nel suo ruolo di studente, sarà che lui nemmeno l'ha mai vista una scuola vera e ci è cascato facile in questa storia che questa qui è una scuola, poverino, digita sghembo e mi immagino le sue parole sul foglio disegnare tratti tortuosi, come il suo corpo su quella sedia invece produce lettere perfette che pare impossibile che da quelle mani incerte e fragili possano uscire file di parole così nitide e precise. Io nemmeno posso digitare, sto qui inutile e fredda come un cadavere ancora caldo a chiedermi perchè?!
Marco e la festa dietro a quel tendone. -Alla festa ci sono anche le ragazze- avevi detto a scuola nella stanza grigia coi banchi, e sorridevi un pò strano e felice. E' felice Marco quando ci sono le ragazze e fa sempre un sacco di battute per farci ridere ma a me mica mi piace e poi la suora un giorno che era arrabbiata ci ha detto "Ringraziate il Signore che vi ha mandato questo che almeno avrete da vivere mentre Marco e gli altri mica ce l'avranno questa fortuna!" e mi sa che non è proprio qualcosa di buono che lo aspetta a Marco e a me mi fa paura.
 Io invece coi ragazzi, boh! Boh cosa?! Boh, non lo so se sono felice quando ci sono i ragazzi, cioè si,  c'è Claudio che mi fa ridere quando siamo in salone e quando mi guarda è come se mi citofonasse in qualche posto dentro al petto. Ma tanto lo so che non gli piaccio, che sto qui stesa come un quarto di bue pronto ad essere porzionato e mica sono una ragazza "normale" io. Non ci voglio pensare io, ecco cos'è.
E mentre me ne vado, spinta a ruote verso il mio posto, quello dove ho un letto e un armadietto blu, trattengo nei pensieri l'immagine di quel tendone che segna il punto di valico spazio-tempo in cui si svolgerà la festa-con-le-ragazze (ed i ragazzi) dove forse qualche bacio sghembo sospenderà paura-e-dolori annientando le distanze tra tutti i mondo possibili. Arrivando alzo lo sguardo e vedo lui che mi trapana l'anima con quegli occhi blu-oceano mentre un sorriso divino illumina la stanza che sembra meno grigia. Lui L'ha appiccicato al muro la suora l'altro giorno, ha detto che è Gesu' che ha fatto un film, lei lo guarda sempre e sorride con una faccia che sembra di gomma.

 - Come bacia Gesu' suora?- pensavo a Marco e alla festa e a Claudio e...la suora non ha risposto ed è diventata tutta rossa. Boh,  sono certa che quello li appiccato sul muro bacia come nelle feste di Marco, che io non lo so come si bacia mal'ho visto nei film e quando li guardo penso al mare e a quando nuoto sottacqua e mi sento libera e felice e accolta, parte di un "qualcosa".

Boh, tanto alla festa mica ci vado.

sabato 11 agosto 2012

Camera 1108 - Il Cielo

Appena passata offline la coscienza si ritrovò tra magnifiche colline.

Tutto il giorno non aveva fatto altro che combattere contro la solitudine, che poi per chiamarla "Solitudine" dovrebbe essere obbligatoria una solitudine di almeno un anno, invece la sua durava da meno.
"Da meno?!" direbbe lei che ha la sua teoria, dice che la solitudine lei l'ha vissuta per anni nonostante un compagno lo avesse accanto. Ma lei è una strana, alle volte arriva a dire che la parola "accanto" si dovrebbe poter usare soltanto quando una-sta-vicino-ad-uno tipo un ballo lento a luci basse e cheek-to-cheek o cose del genere invece lei sapeva che lui le stava a---c---c---a---n---t---o che è tutto un'altro dire.

Ad ogni modo torniamo a noi, o meglio a lei, immersa tra  colline di un verde vellutato.

Lassopra tirava un bel vento, che poi, per "tirare" ci vorrebbero due lembi e l'azione di due forze inverse, lassu' invece l'aria "tirava" come l'acqua in discesa. Ma lasciamo stare le puntualizzazioni che già ci sta lei che dice e dice.
Così l'aria scrosciava furiosamente verso la discesa del cielo e lei stava immobile, ammantata di vento e guardava guardava lontano. Lei dice "guardava guardava" perchè lo sguardo arrivava a lambire la-fine-del-mondo e laggiu', ai bordi del mondo poteva sentire la vertigine prenderle lo stomaco. Così lei dice che si sentiva mentre guardava guardava.

Lei però non era sola, non lo era almeno quella notte.  C'era un uomo dagli occhi stanchi o forse non erano stanchi ma a lei parevano così, stanchi per le migliaia e migliaia di cose viste e vissute, stava poco piu' avanti a lei, seguendo il profilo della sua figura aveva disegnato un origami: un omino grande ed uno piccino. L'uomo non era solo, aveva con se un bambino.

 Si fermava li il loro profilo, si fermava al bambino che stava per mano all'uomo, esattamente come un ricamo nella carta, i loro abiti ondeggiavano nel vento e loro restavano immobili come due stecchi di ghiacciolo infilati nella sabbia a cui erano restati brandelli di confezione a far da veste.
Lei si chiedeva che ci stava a fare lassu' tra le colline invece  di stare a letto a dormire ma forse, in realtà, non ce la faceva neanche a chiederselo, la coscienza stava offline e lei stava semplicemente la dove i sogni l'avevano deposta dolcemente, perchè questo bisogna dirlo, e lei lo diceva sempre, i sogni ti depongono  dolcemente mentre gli incubi ti catapultano tipo SWaAsHhhh AhIIIooooOOO!.

Il cielo era terso e trasparente e dice che lei avrebbe voluto berselo tutto, alla goccia, solo in fondo, laggiu' in fondo a destra, si stagliavano delle nuvole di ovatta o di zucchero filato. Dice che erano così belle che ne avrebbe volentieri gustato un morso sfilandone una piccola matassa distraendo il proprietario ma le pareva che il tale fosse onniscente ed il rischio di farsi beccare le sembrava troppo. Così si tenne la sete di cielo e la fame di nuvole, intanto continuava a godersi il tutto, stanca ma portata via dall'incedere altezzoso e magnifico di quelle nuvole.

Dunque l'uomo ed il bambino stavano  per mano, dicevamo, anzi come dice lei "per-mano" perchè lei ha delle idee tutte sue e dice che quel modo di stare per mano era da "per-mano" perchè ci sono tanti modi di starci (per mano) e quello li che aveva davanti ai suoi occhi era di un uomo ed un bambino legati da un vincolo di amore e protezione come in un flusso che passa e ritorna. 

 E poi le nuvole presero a correre nel cielo e il vento sollevava abiti e pensieri e dice che il bambino alzò il braccio destro e toccò una nuvola lassu' nel cielo e serrò le dita con delicata fermezza,  dice che a lei le parve proprio il medesimo muoversi delle dita che si fa quando si cattura una farfalla posata su un fiore.

E trattenendo quella delicata matassa di acqua volante il bambino si girò verso l'uomo e gli sorrise, dice che gli occhi di lui luccicavano come stelle e che il bambino lasciò la mano del padre (o di quello che a lei pareva essergli padre) e prese a correre anzi lei dice che fu come vederlo s-correre, leggero come le particelle dei "soffioni" che pure lei dice che pensava fossero fiori invece scoprì che erano frutti ma dovendo restare a noi questa cosa magari ce la dirà un'altra volta. Ad ogni modo lei dice che il bimbo s-correva leggero leggero come semi di soffione e sorrideva raggiante, felice e pieno.

Suo padre restò immobile con gli abiti al vento su quella collina ad osservare la scena piu' bella del mondo, commosso. Dice che le lacrime presero a scendergli dagli abiti ed arrivando a terra entravano nel profondo, dice proprio come le radici di un ginkgo biloba che aveva visto all'Orto Botanico. Lei dice che avrebbe giurato che le lacrime scendevano come radici e che il bambino teneva una nuvola nella sua mano.



venerdì 18 maggio 2012

Camera 1705 - Sotto la Neve

"E quindi fammi capire, l'unico a cui non l'hai data sono io!" tu che raccontavi degli anni delle superiori e di come l'amoreggiare fosse per te un magnifico, bellissimo e appassionante gioco e Andrea che non se l'era tenuta piu' e te l'aveva messa li quasi fosse una battuta, dico quasi perchè era evidente che venticinque anni dopo eri ancora la sua icona sexy: una fetta di pane appena sfornato con un sottile velo burroso e marmellata ai frutti di bosco da addentare e godere.

"Andre e dire che sei proprio diventato bello, altro che Osso come ti chiamavamo e guarda che fisico!" sorridi con quegli occhi tuoi, gli passi il braccio attorno alle spalle e glielo dici con la tua erre che fa scorrere un brivido nella colonna vertebrale di qualunque maschio-medio.

Una sera dopo sei mesi che non ci si vedeva, io, tu, Andre, Ale e Fel. Matteo e Paolino c'avevano fatto il bidone. Era stata una serata infinita che  alle 2.30 stavamo ancora fuori tra nuvole di foschia, neve a bordo strada e le nostre parole che non volevano salutarsi.

Stare con voi era sempre uno "stare a casa", ogni volta ci pareva di essere ancora in quel bistrot di Parigi in gita, noi diciottenni tra sogni e partenze a dormirci addosso stretti sul TGV che tornava a Milano. Tu abbracciata ad Andre, io addosso a Matte. Roba da cuccioli che si stringono per farsi caldo, quella notte il freddo stava fuori, li dentro ci addormentammo, io e te spensierate tanto da non pensare affatto ai baci, noi tutti fratelli (la solita fregatura per Andre e mi sa pure per Mat).

Mi hai chiamata ieri, ho visto il tuo nome sul cellulare : Marghe :-) "Eccola! Come stai?!" parole sorridenti...

"Ehi...devo dirti una cosa..." è successo qualcosa, ti conosco bene, la sento la tua voce, ne conosco le pause che ti sono rare, ho paura.

"Cosa succede Marghe.. che è successo ..." tu traballi, io cammino svelta nel parcheggio sotterraneo della Metro, ho mezzora per percorrere 12 fermate e 500m a piedi, i soliti tempi stretti e un'appuntamento di lavoro.

"ha chiamato Ale...Andre stava andando in ufficio in moto, uno schianto...non sono riusciti a rianimarlo"..tu singhiozzi io mi fermo, tutto si ferma e anzi no. Vanno le cose, vanno per conto proprio, come le mie gambe che procedono mentre le parole stanno ferme e le lacrime cominciano a scorrere e scorrono come un fiume a cui si uniscono affluenti, i giorni difficili, le cose che non procedono, le paure, le delusioni...Un nodo stretto in gola e il sorriso di Andre negli occhi.

Metto giu' con te e mi chiama Ale, oggi quando l'ha saputo ha tirato un calcio al tavolo e si è fratturato il piede...piange, lui era il suo amico-di-sempre.

Ti tengo qui giu' ancora un pò, non te ne andare c'è anche Marghe, vedi?! Ascoltiamo i Depeche Mode, tu nera stringa di liquirizia raccontaci ancora dei tuoi viaggi tra deserti e cascate, degli incontri e nelle visioni da mozzare il fiato, come quella sera di fine febbraio. Come in quel vagon-lit, dimentichiamoci il freddo...

Noi, fratelli.

Somebody - Depeche Mode

giovedì 26 aprile 2012

Camera 506 - La Cucina strappata


Mi guardo intorno, una cucina ordinata e perfettamente organizzata lei, Giulia, è seduta difronte a me.

"bella questa cucina è Ikea?" appena pronunciata la magica parolina del mobilio lowcost  vorrei poter pigiare il tasto rewind e sostituire "ikea" con "un mobiliere brianzolo" , sorrido e anticipo la sua risposta

"ehm,perdono Giulia! Le maniglie sono identiche a quelle della cucina che ho appena comprato all'ikea, solo le maniglie però, qui si nota il su-misura!" lei incassa con classe il colpo

"si vero, le maniglie si somigliano tutte ma in realtà l'ho presa qualche anno fa da un mobiliere brianzolo, io volevo la cucina che avevo in mente, sai questo è il mio posto e lo volevo perfetto"

Grigio scuro e bianco lucido con particolari in acciaio, ogni angolo della stanza è vestito, nessun angolo nudo, tutto disegnato e misurato e curato dalle sue materne braccia.
Giulia è una casalinga perfetta come la sua cucina, ha lasciato il suo lavoro trentanni fa quando è arrivata la sua prima figlia, Giulia ha varcato da pochi anni la soglia dei cinquanta e da pochi chili la soglia dei settanta. Il suo compagno di una vita, suo marito, il padre delle sue due figlie è un bel signore con una folta chioma bianca ma una faccia giovane, è uno dei molti dirigenti di una grande società milanese, uno capace e deciso, uno che ha saputo prendere le redini e portare avanti la-famiglia, farsene carico e condottiero.
Sono qui per lavoro, li conosco da almeno quindicianni; loro, come me, fanno parte delle coppie-per-sempre a cui molti amici comuni facevano riferimento pensando a quelli-che-sono-belli-insieme (ancora). 
Quelli come loro. 
Quelli come me invece ora guardanno quelli che restano, loro. Quelli come me  sentono il dolore del disincanto ancora fresco, anche anni dopo.Quelli come me ripercorrono quasi ogni giorno ventidueanni di strada accanto al proprio compagno per sentirsi meno in colpa, per giustificarsi un tale strappo per ricordarsi il percorso che li ha portati a dire "basta".
Quelli come loro, a volte, non ce la fanno a perderti dal gruppo dei "loro" e vorrebbero trovare le parole giuste per farti cambiare strada e idea e se non ci riescono fanno domande, chiedono di capire come-si-possa decidere di stare soli piuttosto che restare con un tale con cui comunque hai condiviso piu' di metà della tua vita.

"...e scusa se sono invadente ma non hai paura di restare sola? io, sai, non ce la faccio a immaginarmi una vita senza di lui, certo che non è sempre una meraviglia, certo che lui esagera con il suo tono da so-tutto-io-sono-io-che-porto-avanti-la-baracca, certo che vorrei che pensasse a me di piu', che mi dimostrasse che quello che faccio per lui lo nota, che mi portasse a teatro mentre settimana scorsa avevo comprato due biglietti per farmici portare ma non ci è voluto venire perchè c'era il Milan e ci sono andata con mia sorella ma questi non sono motivi validi per decidere di lasciarlo...tu non pensi di riprovarci?"

"No Giulia, non penso piu' di riprovarci e..." non faccio neanche in tempo a finire il mio pensiero.

"almeno se tu l'avessi lasciato per un'altro sarebbe piu' facile da comprendere" sarebbe piu' facile Giulia, hai detto bene, sarebbe stato molto piu' facile e lo sarebbe oggi stesso ma non è stato così.

"sai, credo sia piu' facile per tutti pensare che le cose finiscono per colpa di un qualcosa di esterno a noi, invece quel "noi" l'abbiamo rovinato proprio soltanto noi-stessi con le nostre sole mani, con le nostre sole scelte...i rapporti sono fatti da nodi, nodi che creano la trama del rapporto, piu' nodi ci sono piu' è fitta la trama e resistente quel noi...Voi Giulia dovete avere dei bei nodi stretti" sorrido, mi appoggio allo schienale, la luce le arriva da dietro e mi entra negli occhi, lei inghiotte e prende un pò d'aria come prima di entrare nell'aula il giorno dell'esame di maturità

"ti dico una cosa che sanno in pochissime, una è la nostra comune amica, l'altra è mia sorella ma ho voglia di raccontarti questa cosa...hai parlato di nodi e..." si ferma, è commossa ed io cerco di non farlo, le trema la voce.

"Anni fa sono stata malata, ho avuto un tumore al seno e ho subito l'asportazione totale, era un tipo di tumore molto brutto, maligno, quindi mi hanno scavata come muratori albanesi. Passai mesi terrificanti prima dell'intervento e dopo quel buco mi sentii devastata violata ferita a morte. Tolte le bende mi trovai orribile pensai che non ero piu' una donna non ero piu' nulla non ero e basta e non riuscivo piu a pensare alla parola futuro. Mi sentivo solo un masso enorme sul cuore con della roba di plastica che avevano infilato nel mio buco e che aveva creato una voragine incolmabile dentro di me. Uscii dall'ospedale come un'automa e avrei voluto scomparire da questa terra e non vedere piu' nessuno o almeno avrei voluto che lui non esistesse e che io non dovessi mai mostrare a nessuno ciò che rimaneva di me, non volevo che lui mi vedesse mai così, che vedesse la sua compagna che aveva desiderato perchè quella donna non c'era piu'. E così mi rinchiusi in camera avvolta nei dolori della carne ma immersa in quelli dell'anima e non parlavo non mangiavo e avessi potuto avrei smesso di respirare e lui non diceva una parola ed io vedevo solo nero ed erano passati appena tre giorni da quando ero tornata a casa e lui quella sera apre la porta della mia camera funeraria e senza chiedere permesso mi salta praticamente addosso, non mi lascia neanche il tempo di pensare, di nascondermi e... mi scopa come un pazzo"

Si ferma su quelle parole che in altri contesti potrebbero sembrare tristi e che mi paiono "forti" dette da lei (in quella cucina su-misura con quel viso da casalinga tutta torte e fare-la-spesa) e che invece danno il peso esatto dell'energia vitale dell'amore fisico che parla senza parole e che danno un pugno al muro che mi ero costruita dentro agli occhi, nel crollo mi e ci scendono lacrime di gioia e dolore che è impossibile distinguere le une dalle altre (un pò me le inghiotto e spero non se ne accorga)... Vedo il loro nodo-cardine, vedo un uomo che ha salvato una vita, vedo che le parole a volte sono superflue, vedo che un compagno sente il tuo dolore anche se taci e tace, vedo la Bellezza di un gesto d'accoglienza, di passione, di tenerezza.

 Vedo che l'amore esiste e che i "noi" abiteranno ancora e per sempre le vie del mondo (fiuuuu...per fortuna!) 

sabato 31 marzo 2012

Camera 505 - Bianco Fermo

 "Scrivi qualcosa se vuoi, scrivi tutto quello che non gli hai potuto dire...scrivi, scrivi una lettera e poi dalla a me e gliela poserò accanto..."

Ho i piedi gelati, le coperte rigide degli ospedali non scaldano, pesano soltanto, come coperte di soldati al fronte. Li ascolto muoversi dentro di me come pesci rossi in una sfera di vetro scivolano sotto la mia pelle, guizzano poi si acquietano. Vedo solo bianco, una porta che sia apre e lei che entra luminosa come una dea e mi guarda forte. La anticipo, fermo le sue parole e mentre la guardo in quegli occhi che promettono fortune le dico che lo so già. Sei andato via.

Non ti ho scritto nulla. Ho preso un foglio e sono stata a guardarlo. Bianco, come me. E il colore non riusciva a sporcarlo. Bianco fermo.
E bianca volevo esserti. Bianca di luce e carezze. Sollevarti io come quella volta che mi prendesti in braccio prelevandomi da quel lettino per riportarmi a casa. Bianca come le divise candide delle infermiere chine a proteggermi con sorrisi e mani ferme.
Mai, dico mai, ti avevo sentito dire "non ce la faccio piu'" tu con quelle braccia forti, quei muscoli tesi sotto la pelle andavi sempre avanti, come dicevi sempre a noi di fare, camminavi a testa alta scivolando sugli aghi e sugli arnesi che ti frugavano.
Mi hai insegnato che si può essere forti e sollevare pesi, spostare pile di casse, saltare giu' dai camion, dare un pugno a un tale se proprio non c'è altro modo per difendersi, costruire una casa per dare un posto alla tua famiglia, lavorare, lavorare, lavorare. Mi hai insegnato sopratutto che "si può fare", fare con le proprie forze e con la tenacia e che l'invidia è un sentimento comodo, troppo comodo, per chi non ha voglia nè capacità per fare, per chi si aggrappa solo ai "se" ed ai "ma".
Ti penso avvolto in una nuvola di fumo e ne vorrei aspirare un pò anche adesso che non ci sei, chiudere gli occhi e sentire solo il tuo odore, fumo, sentirti scivolare nelle mie narici e trattenerti un pò prima che tu torni ad essere soltanto anima. Ti vedo. Seduto alla seggiola accanto alla finestra, lo sguardo assorto, il corpo teso, le tue spalle forti e fumo tra le tua dita, solo tu e la sigaretta e i tuoi pensieri sotto i piedi. Sei distante, sempre...irraggiungibile.

L'ultima volta che sono stata da te solo tre settimane fa avevi gli occhi incollati sulla mia pancia immensa, non riuscivi a dividerti da lei e io avrei voluto nasconderla un pò per averti per me, almeno una volta solo per me per sentire le tua mani ruvide asciugarmi le lacrime inarrestabili mentre volevo dirti tutto, non so quale tutto e di che tutto ma avrei voluto fermare il tempo e dirti e abbracciarmi a te e chiederti tutto del passato, di te, dei tuoi dolori che a volte ci voleva poco per vederli riaffiorare, per farti commuovere, anche se eri abilissimo a tornare rigido, quasi altero...un Principe della strada eri.

Non ti ho scritto nulla e non ti ho tenuto la mano mentre te ne andavi. Ero e sono qui incollata a questo letto, avvolta nel bianco. "Scrivi"...scrivo, si. Scrivo ma non mi viene niente, le parole fluttuano come queste vite che mi abitano dentro. Fluttuo insieme a loro, sono loro...la luce filtra attraverso le mie palpebre, ti penso elegante nel tuo abito scuro in mezzo a tutte le persone che ti vogliono bene, io lontana e piena di vita.

mercoledì 7 marzo 2012

Camera 503 - La Bicicletta

Ho di nuovo una bicicletta mamma.
Vedessi come salto bene sulle buche alzandomi un pò dal sellino. Scivolo giu' dal ponte come quegli sciatori che saltan giu' e volano volano volano sospesi e rapidi come gli sguardi di una stazione.
Ho anche un cestino in vimini intrecciato e con la colla a caldo ci ho incollato in un angolino tre margherite. Le margherite mi rassicurano, sanno di buoni giorni, luminosi e freschi di bucato.
E ho di nuovo anche te mamma, che forse eri smarrita nella tua vita di donna e di figlia. Ci sei, sai accogliermi di nuovo in grembo, in quei tuoi sguardi da cane a padrone che solo le madri possiedono.
Dev'essere così che guardo i miei figli, così che non resisto e li bacio sulla fronte aggrappando la mia guancia sul loro viso. Prigioniera e rapita.
Forse hai ritrovato anche tu la tua bicicletta o il monopattino o qualche arnese che ti ha rimessa in moto. Ma ora ti ho con me che a volte vorrei essere capace di stringerti o di chiederti se puoi farlo tu, tipo strizzarmi come un panno vileda prima di passarlo sul piano di vetro del tavolo del soggiorno.
La mia bicicletta mamma. Ricordi? Me l'avevano rubata un sabato di primavera, anzi, l'avevano rubata al papà. Eri andata a comprarne una nuova (subito). Celeste e con i copriraggi Ma non era la mia bici, quella delle gambe distese, delle solitarie gite tra i fossi a bagnarsi i piedi e intrecciare bracciali di fiori, del respiro e del vento tra i capelli. E non aveva il cestino.
Era una cosa estranea.
Ero ferma. A piedi. Odiavo camminare che mi si slacciavano sempre le scarpe. Tu ci avevi provato ad insegnarmelo ma riuscivo a fare i fiocchi piu' scioglievoli del cioccolato al latte.
Camminare a lungo a piedi mi faceva sentire sperduta, con la minaccia dei lacci che si sarebbero sciolti, della mia schiena che non sarebbe riuscita a farmi raggiungere agevolmente le scarpe per riallacciarle e di tutti i passanti che uno-ad-uno si sarebbero fermati, avrebbero mollato i sacchetti della spesa, le auto, il cane, il giornale per fermarsi a guardare me che mi allacciavo le scarpe in modo da far invidia ad una contorsionista russa.
Mi sono fermata una ventina d'anni mamma senza quella bicicletta.
A piedi ho fatto poca strada e combinato un sacco di casini. Quei lacci mi facevano inciampare. Ho anche provato ad indossare stivali. Un pò di strada l'ho fatta e pure con le parigine altissime con i lacci a cui facevo il doppio nodo. Ma è stato un muoversi lento, incerto e faticoso.
Ora me la sono comprata.
 Scontata. 
Bellina.
 E col cestino.
Vedessi mamma, anzi, vedrai! Sta li pronta sai?! Che la prima domenica mattina che sarò a casa, uscirò presto con la mia bicicletta. Farò tappa per un caffè e una brioche al burro, disegnerò un nuovo percorso, differente.
Percorrerò quella strada di stelle filanti fino al ponte e mi fermerò in alto a guardare le vite che passano veloci. Storie, luci e riverbero del sole sulle lamiere.
Poi, mollerò i freni e mi lascerò scivolare giu' giu' giu' fino all'angolo della strada degli orti. 
In quei prati che incorniciano la strada ci sono sempre macchie versate di fiorellini indaco, li chiamavamo occhi-della-madonna. Miniature perfette, delicati prodigi.
Li porterò da lei, da quella statuetta smozzicata dal tempo, appoggiata tra speranze veloci, polvere. e piccoli insetti. E' sempre così bella col suo manto azzurro e quel sorriso avvolgente.Quando sparivo mamma stavo lì. Era il mio posto segreto.

Mi fermerò li seduta a terra o chissadove e piangerò, piangerò piano per  il mio amore finito e chiederò perdono per aver fallito e per il dolore inferto che fa quasi peggio male di quello ricevuto.
Poi respirerò a fondo.
Riempirò il mio cestino di fiori e mi porterò a spasso tra i capelli coccinelle. 
Andrò pedalando verso casa...
 Leggera. 
Con la mia bicicletta.

martedì 20 dicembre 2011

Camera 347 - Spiragli

Pensavo a come si trova la forza certi giorni per portare avanti le proprie scelte.

Poi, aprendo le tende, ho visto questo sole che instancabile crepava la crosta del profilo di anonimi palazzi per scoppiare fuori.



Come me.

Come te...





martedì 7 giugno 2011

Camera 203 - Mrs Marlow si tuffa

E' una pioggia fitta
 -vetro-
che si scioglie
in
m
i
l
l
e
p
e
z
z
i
 Sulla mia barca con tutta la ciurma, due giovani uomini ed una giovane donna. Sulla nostra barca ci inoltriamo nel fiume, l'acqua è limacciosa, profonda, in movimento verso le tenebre, laggiu' in fondo.

Mrs Marlow, mi chiamo così. Sono una che ha sognato di partire per anni e che invece poi è restata. Ha messo su casa insieme a un capitano-senza-vascello.
Si vendeva bene, lui "Partirò e tornerò con tesori immensi e andremo insieme, noi e la prole, guarderemo le acque scorrerci sotto veloci e amiche e sentiremo le vele soffiarci, complici, auspici di grandi giorni di scoperte e magnifiche visioni" diceva. Forse voleva, forse sapeva solo raccontarsi, forse tutto e niente.

Ora sono io il capitano. E ho deciso di partire.
Sola. Con la mia giovane ciurma.
Gente litigiosa la mia ciurma. Ragazzi appassionati che brandiscono canzoni come coltelli e giocano con parole di fuoco amore-passione-desiderio-speranza-paura. 

E' ancora pioggia 
p
i
o
g
gia
fitta 
(schegge di vetro...)
 
Guardo i miei ragazzi, sul ponte di questa sgangherata barca. Il ponte è scrostato, alcune assi sono incrinate e a camminarci scalzi finiamo spesso per riempirci i piedi di schegge sottili come spilli, io, Mrs Marlow prendo un ago, lo passo sulla fiamma del lume che ho accanto al comodino e ne infilo, piano, la punta nella loro pelle, urlano a volte, ma poi, piano sfilo via quei pezzi di promesse mancate, le sfilo via piano, trattenendo il fiato per mostrarmi sicura e decisa (ma il cuore batte forte). Poi asciugo gli occhi-di-ragazzi, colmi di lacrime e me ne vado con quei brandelli di vecchio teak che per anni era stato il nostro appoggio. Forte, compatto, sicuro.
Inaffondabile.
Invece ora si stava frantumando in miliardi di sottili schegge.

pioggia 
che
 si fa
n
e
b
b
i
a
(chiudo gli occhi)
Navigo a vista mentre fa sera"andate a riposare ragazzi, domani ci aspetta una giornata intensa, si profilano nubi all'orizzonte e avrò bisogno del vostro aiuto con le corde e le vele" si dirigono verso le cabine tra urla di protesta e giocosi spintoni da bimbi. 
pioggia 
a fiotti
(e...
brandelli
di un cuore?)
 Silenzio.
Sono sola: accovacciata sulla prua della mia barca scassata. Ventunanni dopo.
Senza un capitano, Io Capitano di questa barca sconquassata.

Annuso l'aria, ascolto il silenzio e osservo neri uccelli volare tra gli alberi. Mi alzo in piedi, alzo le braccia, mi sfilo la maglietta e poi la gonna e...
Nuda mi tuffo in quest'acqua che è tenebra...
 pioggia 
pioggia di  vetro 
o...
 ( forse no)
... 
soltanto
 
c
q
u
L'acqua mi prende, avvolge, accoglie. Pesci mi scivolano attorno, mi accarezzano e si infilano tra i miei capelli come mani innamorate. Sott'acqua urlo mentre l'aria mi esce a bolle...        
                               (h)
                                                                                         (o)
                                        (p)             
                     (a)                                    
  (u)                               (r)            
                                       (a) 

Riemergo con un colpo di reni. Mi riempio di aria e forza e infilo il braccio destro nell'acqua, la mano che taglia l'acqua e poi spinge forte richiamando l'altro braccio per poi riposare e riprendere ancora e ancora.Una capriola e torno indietro e la guardo -la mia vecchia barca stanca e scassata- dall'acqua è ancora bella. Il fasciame non è così malridotto...qualche lavoro di rinforzo e un pò di vernice e non affonderà.

Mentre salgo dala scaletta di corda tremo.L'acqua  mi culla, come culla le paure della mia ciurma.
La tenebra è rischiarata dal mio lume. Questa notte lo lascerò acceso.

martedì 5 aprile 2011

Camera 202 - Il Respiro

Come un gentile Cavallo di Troia alcuni eventi si erano piazzati lì nel centro esatto della sua anima.
Il silenzio aveva fatto da corolla a quella costruzione fatta da incastri di momenti, volti, parole, sguardi. Un silenzio assordante che anticipava qualcosa...un indecifrabile (per il momento) qualcosa.

E cos', silenziosamente, dei soldati gentili erano scesi con fare sicuro da scalette di corda (lesti lesti) e avevano cominciato a prendere possesso di ogni angolo nascosto.
Fiaccole erano state accese e i soldati gentili avevano scorto un cerbiatto dagli occhi belli, ferito. L'avevano raccolto e portato con se trasportandolo a turno tra le braccia sospeso in un alito-di-vento. Esangue giaceva,  abbandonato ma una fessura era rimasta tra le palpebre, un pertugio, e  fili d'oro che cascavano da volti umani gli si infilavano dentro e facevano solletico...non lo lasciavano in pace, non lo lasciavano (magari) andare in pace.
Con che passione i soldati gentili avevano preso l'acqua della loro borracce, l'avevano dissetato e ne avevano ripulito le antiche ferite, dolcemente, con grazia materna ed energia paterna. La notte alcuni di essi gli dormivano accanto rinbalzandosi vivace calore e abbandonandosi nel ritmo dei cuori di ognuno, una delicata ninna-nanna.

Anche adesso che qualche raggio cominciava ad infilarsi nella fitta maglia della notte quella musica accompagnava il loro risveglio...bum...bum...bum...

sabato 8 gennaio 2011

Camera 118 - Portati Via, Please

Sono ridicoli certi uomini quando sono soggiogati dalla presenza di una donna.
Parlano.
Parlano.
Inventano storie inutili per mostrarsi furbi, agili, intelligenti, robe tipo: "donna! Io saprei procurati il cibo e solleticarti bene con stà clava!".
E poi parlano e parlano.
Ti buttano ai piedi complimentose parole tanto banali quanto inutili a colpire l'immaginazione di qualunque donna dotata almeno di qualche neurone sano.
Sono stupidi certi uomini.
Ti guardano fortenegli occhi (e sul culo) e pensano "ci sei ti ho presa!".
Sono inutili certi uomini.
Coi loro occhi azzurri, l'abito gessato e delle belle rughe spalmate di diorhomme mentre ti mostrano quella "bella donna" della moglie sul cellulare.
Sono certi uomini (i piu'),quelli che ti accompagnano alla metro sperando che tu gli passi il tuo numero di cellulare.
E per la strada parlano parlano e inghiottono saliva.
Intanto ti aprono le porte e alla metro gli si arrotola la manica del soprabito nel tornello (che gli pareva una porta pure quella...)
Sono così, che manco ti fannopiu' ridere. Che sei stanca dopo una giornata seduta ad arredare la sala in cui il personaggio piatto e grigio di turno ti immerge nella solita cornice di scenari economici disastrosi ed il mercato che andrà di quì e di là.
Cammini osservando nel via-vai...una massa indistinta di persone che non hanno occhi eppure avranno loro storie.
La metro ti corre incontro (sono dei momenti!)
...
"Ciao, ci vediamo!" e se non ci vediamo è pure uguale.

Il cellulare vibra: un sms.
"Che compagnia di pezzenti neanche il pranzo offerto. La prossima volta al pranzo ci penso io. Ciao! Mauro"

Toh! Proprio uno che potrebbe ambire al primo posto sul podio degli uomini da sopprimere. Faceva il carabiniere. Poi l'assicuratore. E' campano. Porta le camicie a maniche corte. fa sempre battute ri-trite sul sesso e ha i capelli ingellati allindietro.
La metro, un posto a sedere.

E Forster mi porta via. La mia finestra sull'Arno e un vestito suntuoso acquistato a Parigi.
E vado via...

giovedì 30 dicembre 2010

Camera 115 - Il battito


Lasciami ballare
la notte prossima (e perchè non per sempre?!)
Lasciami ballare...


7 gen 2010

Niente musica, invece.
Il resto della storia è una delle tante storie. Non è la mia, solo una di quelle a cui lavora Mrs QT, una storia confusa e convulsa, al momento, che quando mi passa il materiale diventa difficile dargli una forma, qualsiasi.

...No need for anything but music
Music's the reason why I know time still exists
Time still exists
Time still exists
Time still exists...

lunedì 22 novembre 2010

Camera 1109 - Privato

Che poi dovrebbero esserci dei differenti modi di riporre ognuno.
Che a me questa cosa qui (quella proprio qui che sta davanti ai miei occhi intendo) non mi convince affatto.
Tutta questa durezza, la rigidità, il freddo, l'assenza di colore anzi questi colori da dragqueen (e sarà che il cielo di oggi piange sommessamente e sarà pure che il cielo mi vuole bene e piange lui per non vedermi piovere) che invece, almeno, io ci avrei messo un pannello di legno grezzo e una sottile mensola con dei barattoli di vernice e dei pennelli con i quali ciascuno che ne avesse avuto l'animo ti avrebbe potuto lasciare addosso il suo morso (di quei morsi da cuccioli) di colore...un segno una carezza.
Tutta la tua materna morbidezza (che quando mi abbracciavi mi piaceva assai) com-pressa in una scatola di legno e con-tenuta da mura tra cemento e marmo dagli occhi vitrei. 
Ma poi, chissenefrega! Tu in realtà te ne sei andata via in una bolla di sapone...leggera e aggrazziata (come voleva la tua mamma), con un abito in seta cobalto, scalza.
E sei scoppiata nell'Universo e volteggi (leggera e sei bella!) ed io ti guardo e vorrei ancora poterti Dire (e Ascoltare).
Mi sono rimaste in gola un pò di cose (non ne ho avuto il tempo o il coraggio) e mi è rimasto il tuo sguardo e la tua morbidezza esteriore che ancora cercava comprensione.
E mi sono rimasti i  tuoi disegni sui blocchi dell'ufficio...occhi, quasi sempre disegnavi occhi. Occhi bellissimi e sensuali, lo sguardo che trapanava tra ciglia folte e lunghissime.
Ho pure una sciarpa e un libro e i biglietti che mi scrivevi, timidi.
E le tante parole di dolore che ci specchiavamo anima-con anima e la tua forza selvaggia (e la passione e il desiderio ed il movimento) chiusa a chiave nel cassetto. Sotto una coltre di caramelle.

"Le donne d'oggi non sono mai contente: vogliono tutto..."...ricordi e sai, vero?!

Non ci sei piu'.
Eppure sei ancora qui. E sono certa che stai sorridendo per me che ho trovato la chiave ed il mio cassetto l'ho aperto (e non ti commuovere che poi piango anche io...) e sto tirando fuori intuito resistenza amore tenace sensibilità ascolto sottile istinto passione e forza.
Tu sei nell'aria e nel vento e sono certa che ci sarai (anche tu...)a darmi un calcio nel  fondoschiena quando la tentazione di sepellirmi nuovamente sotto uno strato di multicolori caramelle mi prenderà (che lo so già che mi prenderà ma tu picchia forte eh?!).
Raccolgo queste foglie di quercia, la pioggia ci ha concesso una pausa. Affondo un pò in questo odore di morte che poi è vita pure (che pullula nascosta in questa terra e nella mia terra calpestata e invasa ma ancora fertile).

Vieni qui, come ti pare?!...Fermati un pò e goditi quell'orgasmo che hai sempre sognato...c'è lui(dev'essere lo stesso del poster sul muro di cui ti raccontai)...guardalo forte negli occhi mentre ti avvicini -e si avvicina-... e quando stai venendo (e andando) intorno a lui, intreccia le tue mani alle sue e ascolta l'Universo che ti esplode dentro e ti porta via-via-via...dove tutto è Bellezza...

lunedì 13 settembre 2010

Camera 114 - With-out

Una stanza vuota.
Enormemente vuota.
Fuori dalla porta un cuore appeso con un nastro verdebosco.
Un cartoncino ruvido scritto a china dice:

"Sono uscita a comprare il pane"
Anzi...
Pane.
Acqua.
Caramelle.
(ciò che manca ancora lo troverò sulla strada)


PS: E' solo un modo come un altro per dire che non ho piu' nulla da dire (questo è l'altro modo). Un cuore non è un oggetto adatto ad essere appeso, finisce che si sforma tutto e ti trovi un ventricolo a forma di totano e l'altro a forma di labbra di lilligruber (che non son cose belle). E poi i vicini che si lamentano per il sangue che cola sul pianerottolo (nonostante faccia sempre attenzione e ci passi col mocio piu' volte al giorno non c'è verso: ho un cuore che pompa sangue alla grande!) e loro che scivolano e si imbrattano i calzoni di barberri (che mica lo sgocciolamento di cuori è contemplata nelle garanzie operanti nella polizza condominiale poi...).
 Già. Son brutte cose...







lunedì 9 agosto 2010

Camera 113 - La stanza bianca

Tu che parli al telefono e intessi le trame che vuoi (come sai farlo bene...). Poi arrivi.
Entri in questa stanza in una penombra di luce riflessa da chissà dove. Tre letti sono disposti con la testata addossata alle tre pareti attorno.
Seduta a terra, io. E tu ti avvicini. Ed io guardo i tuoi occhi con le loro mille vite a fargli da cornice e tu che sei piu' vicino.
Vicino.
Vicino da toccarmi.
Avvolto nel silenzio ti inginocchi e io ti scivolo tra le braccia, aderisco al tuo petto, respiro il tuo odore che già si confonde col mio e le parole che avevo si diluiscono fino a dissolversi nel desiderio del solo essere-con-te, semplicemente.
Eppure devo uscire (incomprensibilmente ma devo).
Un lungo corridoio che svolta a sinistra e due porte che si specchiano. In una ci sei tu papà, in un letto che riluce nell'oscurità della stanza, candido. Sei tu come l'ultima volta che ti ho visto, solo che il letto stava sulla sinistra col comodino grigio a fargli da accento mentre adesso il letto sta nel fondo della stanza nell'angolo a destra. Tu hai lo stesso sguardo che dice che stai bene che non stai soffrendo e che guarirai e mi sorridi ed io mi fermo sulla soglia a guardarti assorbendo la tenerezza che dai tuoi occhi si riflette nel biancoperfetto e mi si rovescia addosso avvolgendomi completamente.
Proseguo, devo, ed entro (è necessario). C'è una donna vestita di bianco ma è un bianco che smarrisce, un biancoassente. Apro il palmo della mano sinistra e vedo una vena blu nella quale la donna infila un grosso ago che affonda  e affonda a lungo dentro di me appropriandosi del mio sangue mentre il dolore sale dalla mano per scorrermi fin nella colonna.
Torno da te che mi aspetti nella prima stanza, in penombra. E sei sopra di me fremente e per un attimo mi dimentico e sento solo fino a dissolvermi nella bellezza perfetta di  questo momento.
Fino a che vedo i tuoi vestiti farsi di fiamma, rossi e del sangue scorrere dal tuo fianco.
O dal mio.

venerdì 23 luglio 2010

Camera 112 - La Ruota del Cambiamento

-Ho un'offerta da farti-
-Ah. E che tipo di offerta?..(oddio sarà mica una cosa tipo -dai-vieni-in-chat-mi-piaci...) Spara!-
-Pensavo...-
-(Oh Diodelvirtuale fai che sia come sembra: una persona interessante e vitale e strabordante di cose da dire!)...eh...cosa pensavi Andrea?!
-Sai, abbiamo parlato spesso di cambiamenti, di come si arriva ai grandi cambiamenti (ma anche di come si portano a casa i piccoli cambiamenti)-
-Vero...in particolare dei miei cambiamenti e di come i miei e i tuoi e gli altrui cambiamenti si muovono seguendo delle fasi...così dicevi, vero?-
-Esatto! Quindi scriviamone insieme: ecco la mia proposta!-
-(Scrivere?...eh no! non so scrivere proprio non lo so fareeee....Insieme? Ma và dai! Non sono capace!)...Dai, Andrea...e come si fa?...Non credo di esserne capace...-
-Piccola Fiammiferaia comincia a pensare ed eccoti il titolo "La Ruota del Cambiamento"-


Prefazione ad un esperimento di scrittura a quattrozampe (quelle pelose sono di Andrea, si sappia!) è stato assai divertente ed ha toccato un tema che il buon Andrea sa bene quanto bene rappresenti il mio vivere attuale. Lo riporto in questa stanza in questa mattina che prelude ad un giorno soffocante in cui mi guardo le unghie e mi dico che non ho piu'' voglia di fare il criceto.







mercoledì 14 luglio 2010

Camera 111 La Posta del Cuore

E' confusa e sottosopra.
Marina, si chiama Marina. 
Ha 38 anni e fa la casalinga da quando si è sposata. Nel 1995 lavorava in una importante società di marketing ma lui non voleva che lei lavorasse -non pensi che sia meglia stare coi tuoi figli?- e lei rispondeva -hai ragione...-. Così imparò a ricamargli le cifre sulle camicie (P.S.), a cucinare, stirare in modo impeccabile, fare il soufflè (che è proprio una cosa da gran-signora), cucire gli orli ai pantaloni e altre amene specialità per sbalordirlo.
Gli anni l'anno vista svuotarsi per fare posto ai suoi  contenuti. Per aderire al suo modello. Per sostenere tenacemente una parte.
Questa sera è qui. Vuota, davanti ad una tastiera. Dei pensieri (assai confusi) le volteggiano attorno. Non saprebbe definirne la forma: sono corvi o farfalle?!
Decide di scrivere alla redazione della sua rivista femminile preferita: Moglie Moderna.


Cara Posta del Cuore,
sono una donna confusa e vorrei un consiglio da te che ogni settimana su questa magnifica ed imperdibile rivista dispensi a profusione consigli a noi cuoricini titubanti...
Vivo in un bel paesino delle Marche, in una bella casa con un annesso appezzamento di terreno in cui mi diletto a coltivar alberi da frutta, per le marmellate che faccio con le mie manine e che a mio marito e ai miei bambini piacciono tanto tanto e anche verdure varie per il passatino di verdura e aromi per il brodo e l'arrosto ripieno e cose così. Mi piace occuparmi delle piante mentre mio marito in casa guarda alla tivu' il calcio o il rugby o la boxe o il nuoto o il baseball o il golf o la pallavolo o il badgminton o la pesca di storioni o il tennis o la vela o il fioretto o....lo sci.
Si, mi piace proprio stare con le mie piante.
Amo i miei bambini e la mia vita coniugale pensavo fosse perfetta io, i miei bambini e il mio cucciolone innamorato (è il nomignolo di mio marito!!!) passavamo dei bei momenti insieme, si parlava spesso.
Lui dal salotto mi urlava -amoree la birra, l'hai comprata la birra....cazzoooo non la trovo!-
Ed io dal giardino mentre estirpavo erbacce  - ma cucciolone innamoratoooo è nel ripostiglio accanto all'olio-
E lui, con un sorriso innamorato-atoato (lui mi guarda sempre con quello sguardo innamoratoatoato) -..grrrr...portamela che è quasi la fine del primo tempo, cazzo!" (ed io quando sento la sua voce tenera dirmi quel gioia non restisto) ed inginocchiata con le mani nella terra mi alzavo, toglievo i guanti, percorrevo il vialetto, mi cambiavo le scarpe, scuotevo dal grembiule e dalle gionocchia la terra, mi ravvivavo i capelli entravo in cucina, percorrevo il corridoio, accendevo la luce, setacciavo i prodotti sullo scaffale ed -eureka!- agguantavo la birra e ravvivandomi nuovamente i capelli tornavo in corridoio e svoltavo a destra verso il salotto dove tu stavi morbidamente acciambellato sul divano.
Io, un sorriso raggiante cucito sul volto -cucciolone mio ecco la tua birra-.
..........-nooooooo cazzooooo l'avevo detto che Ferrara non capisce un cazzo! A vendere budini lo devono mandare. ma a calci inculo............- (nel mentre arpionava la lattina e se la ingollava).
Si, vero! Un uomo di poche parole il mio P. (uso solo la sua iniziale per non farmi scoprire, sà) ma tanto tanto innamorato ed io pure e ci capivamo alla perfezione anche senza parlarci...proprio tanto innamorati-ati-ati.
Ma ora ho delle incertezze perchè in paese hanno aperto una piccola erboristeria. 
E' un negozietto angusto, vi si accede da una robusta porta di legno, devi spingere forte e appoggiarti quasi col corpo su di essa per entrare. La luce è calda e soffusa e predomina il profumo di muschio bianco, inebriante.
E c'è lui, Vi (non dico il nome completo sempre per non farmi scoprire) ...è un uomo alto dalle larghe spalle e mi parla della passiflora incarnata e dei suoi effetti sulla tachicardia, delle radici di rhodiola per la tristezza, dell'olio di rosa mosqueta perchè il viso sia luminoso e....io ascolto la sua voce (dall'accento partenopeo ammaestrato) scivola addosso e si insinua in ogni infinitesimale vuoto attorno a me ed io starei ore ma anche mesi o anni o la vita intera ad ascoltarlo, immersa nei suoi occhi scuri attorno ai quali si dipana una mappa di piccole rughe che aggiungono significati ai suoi sguardi.
E l'altro giorno, proprio per mostrarmi come si stende l'olio sulla pelle (così ha detto lui), mi ha preso la mano e l'ha cosparsa d'olio, scorreva coi polpastelli il dorso della mia mano quando il suo palmo intero dal polso mi è scivolato sul dorso e le sue dita si sono intrecciate tra le mie. Perfettamente.
E i suoi occhi si sono impiantati dentro i miei.
Perfettamente.
E io...
ho preso
il sacchetto
della spesa
ho cercato
di inghiottire
la saliva
e sono  corsa
col viso in fiamme
verso
casa...
...mi attendevano le mie amiche per il the...

Così, mentre fingevo di chiacchierare con le mie amiche e ridevo alle battute della  simpaticissima C. ed alle storie dei suoi amanti (lei si che piace tanto agli uomini!) guardavo il mio cucciolone immobile sul divano con la sua birra in mano, silenzioso come un cactus ma così innamoratoatoato e mi sentivo in colpa per aver sentito il cuore tremare insieme alle ginocchia mentre Vi intrecciava le sue dita tra le mie e i suoi occhi si conficcavano nei miei.
Forse devo smettere di curarmi della parte dell'orto in cui coltivo le erbe officinali. 
Forse...
Però ogni volta che passo davanti a quella porta di legno robusto mi tremano le ginocchia.
Cosa devo fare? Mi aiuti lei...

Dubbiosatremante66

domenica 4 luglio 2010

Camera 107 - Le cose che non dici nè dirai

E' un viaggio in rewind, ad un tempo lento e suadente, al quale tento di oppormi. Ma sono stanca, tanto, e così lascio, lascio che si riapra il sipario su quella mattina preceduta da lunghi giorni di attesa fatti di silenzi e fardelli dal contenuto ignoto che mamma mi mostrava venendomi incontro col passo incerto ed il volto grigio e quel peso sopra di lei che era solo roba mia.  

Stamane era il suo turno. Via una, sotto la prossima. 
Una l’aveva vista un paio di giorni addietro, usciva dall’ascensore, tra tubi e flebo e strani aggeggi. Gemeva e piangeva e… “datemi la morfina!” 
La paura le si era posata addosso come una mortale brina. Andava via, da sola, tenendosi alla bicicletta che aveva lasciato a casa, parcheggiata in cortile...-Papà, dove sei papà...- mentre loro la strappavano via da tutto.
Un piccolo dolore pungente, il preambolo della sua resa. Metallo sul linoleum e lei che scivola, scivola in un cielo di neon e fuliggine seguendo con la coscienza a rotelle l'orlo del baratro.  

~ecco la tua bicicletta tirata a lucido, Stella~  

Persone senza volto la sollevano, leggera, bambina tutt’ossa e bicicletta. Affaccendati tra arnesi metallici, strani macchinari, ferri, fili,tubi e aghi, ridono e parlano a voce alta, gesti meccanici li accompagnano. 
Uno degli uomini senza volto parla, una voce che punge “Oh, sentite questa: Carabiniere in un negozio : vorrei un portafoglio impermeabile. "Perche' ?" "Per metterci il denaro liquido!"... Le risate rimbalzano sui muri e le scoppiano addosso come i palloncini fatti con i chewingum quando ci si lascia prendere dalle manie di grandezza. Loro giocheranno con la sua vita, adesso e lei spera solo che si fermino al momento giusto, con la bolla tesa e baldanzosa (pronta ad offrirsi agli ammirati sguardi altrui) e il sangue nelle vene e i sensi accesi. 
E' un terremoto nell'anima che arriva in superficie producendo un soffuso movimento, incontrollabile. 

~ il sellino è di cuoio e ti ho sistemato i  copriraggi~ 

Tutto è grigio-acciaio. E figure bianche e verdi senza un volto. E neon.  
Uno senza volto le alza un braccio, lo tasta un po’ poi lo ripone. Alza un piede ora e le schiaccia le dita. Occhi perplessi e “ma  perchè hai le unghie viola?!” 

Se riuscisse soltanto a scollare la lingua dal palato gli direbbe che viola è l'abito in lino che ha comprato qualche settimana prima (o forse mesi o anni o in un'altra vita?!) dopo aver disegnato traballanti percorsi sui sanpietrini da Baggio a via Dante aggrappata alla Vespa guidata da una bellissima amazzone, sua sorella. 
E viola sono le sue ballerine in raso con cui aveva corso nel corridoio dove c'era la classe di  Luigi arrivandoci in scivolata con gesto atletico alla Platinì per accogliere l'ovazione dei suoi occhi.
E viola adesso erano le sue unghie mentre lui faceva domande idiote e lei vacillava, il suo sangue  invaso da milioni di gocce che si infilavano in lei per ghermire la sua coscienza.  E“perchè?!...
Perchè sono qui...
Perchè fa così freddo
Perchè non ci sono biciclette qui
Perchè questo dolore
Perchè...”.  

~ e che ne dici del cestino di vimini come piace a te?!~

  Ora possono prendere possesso di quello che è diventato roba loro, per qualche ora. La voltano per creare una pagina nuova nella sua vita. Tracciano linee che stabiliscono nuovi assetti, mettono da parte i Carabinieri (e lei che è assente ma è tra le loro mani spera di certo che non siano passati a Pierino e la sua mamma o ad un italiano-un-inglese-e-un-tedesco) e incidono la sua pelle con un gesto deciso e continuo, spingendo con fermezza. Una lunga scia di sangue sgorga e scivola via e porta via con sè il passato, le corse, i salti , i pattini a rotelle, le capriole e il mambo. 
E' una gara con Madre Natura in cui gli UominiSenzaVolto hanno la meglio su Madre Natura quando parecchi tempi supplementari dopo, al suono soffuso da folla in attesa del goal decisivo, compare sul tabellone il risultato:  

UominiSenzaVolto 1 – Madre Natura 0 

Apre gli occhi e accanto al letto c’è una sedia, una linea grigia all'orizzonte e sua mamma distante, li accanto. Cerca di inghiottire, vorrebbe parlare ma fa tutto male. Anche le parole. 
Se potesse le direbbe che vorrebbe le strappasse il dolore d'addosso con teneri baci e avvolgenti carezze, come farfalle, a passarle dolcemente tra i capelli. Se potesse le direbbe che vorrebbe ci fosse lui col suo odore di tabacco  a chiamarla Stella e le sue ruvide mani a  stringerla e poi sollevarla da quel letto e portarla via. Lontano.

giovedì 3 giugno 2010

Camera 106 - Percorsi a ritroso

Che poi ogni volta che arrivava venerdì mentre mi lasciavo trasportare a casa, ecco in quel mentre esatto, sentendo l’aria (vera aria) sul viso e tutt’intorno quei suoni di clackson ed il ronfare di motori e persone (tante) che sembravano seguire un percorso disegnato con una linea che solo a loro era dato vedere, ecco dicevo, proprio in quel momento, mi ricordavo che esisteva un mondo attorno alla mia stanza.

Un intricato reticolo di persone e cose in movimento in cui tutto potrebbe finire in un gigantesco groviglio: grovigli di autovetture e autobus fumanti, incastri di chi cerca di infilarsi in ascensore e da dentro spingono mentre chi sale si scontra con chi scende facendo ruzzolare qualcuno e provocando uno scazzottamento che finisce in latteria dove c’è chi beve il cappuccino ordinato dal signore accanto che si arrabbia agguantando l’ombrello della nonnina per darglielo in testa e potrei andare avanti all’infinito se non fosse che, è chiaro, anzi lampante che qui nel mondo “vero” ognuno sa cosa fare.

Esattamente cosa e dove e come e quando Fare. Perché tutto fila e si incastra a dovere, ognuno cammina seguendo la sua striscia immaginaria sul selciato, sulle scale, nei cortili, nei parcheggi. Qualcuno a volte forse per sbaglio o per gioco o per chissà-cosa (amore?!) decide di prendersi una vacanza dal suo percorso immaginario e lì son casini: rumori di ferraglia o urla e porte sbattute o lanci di vestiti da balconi e cassetti svuotati per  far posto.

Comunque, qui nel mio mondo vero fila tutto liscio, talmente liscio che mentre mi tengo per attutire i colpi (che gli ammortizzatori hanno tirato le cuoia) mi domando se avrò anche io una linea da seguire a testa bassa  oppure non avrò mai un posto mio e volteggerò disegnando ghirigori e incrociando percorsi altrui per farli un po’ assieme.

Persa temporaneamente nei miei percorsi immaginari mi ritrovo sotto casa. I cespugli di rose e i gerani alle finestre e…vorrei restare qualche ora qui a elencarvi tutti i fiori e le piante del mio giardino almeno fin che fa sera così da evitarmi l’imbarazzo dei minuti i-n-f-i-n-i-t-i che andranno dall’apertura dei portelloni qui davanti e la deposizione della mia salma vivente nel mio letto con quel pietoso appoggiarmi negli occhi corone di saluti dei vicini di casa (imbarazzati quanto i miei cenni e le mie parole smozzicate) .

In rigoroso ordine di apparizione:
Peonie
Felce
Rose Tea
Rosa canina
Alloro
Edera
Rosa Candlelight
Magnolia
Camelia
Portulacca
Campanule
Gerani 

Aposto: eccomi qui!
Mamma sistema la tele della cucina sulla mia scrivania e il copriletto di vellutino a quadretti blu, celeste e bianco ai piedi del letto “Allora! Tutto bene?!”…

Per rispondere avrei bisogno di un altro elenco per superare altro imbarazzo (o forse vergogna che poi sono simili e tu mamma ne parli spesso e…), sorrido leggera sperando in un diversivo che mi venga in aiuto (non so, qualcosa del tipo un colpo di vento improvviso e la finestra che sbatte e il vetro che cade in frantumi e non abbiamo ancora l’aspirapolvere oppure un Testimone di Geova bello come Brad Pitt e dal carisma di Barak Obama che citofoni convincendo mia mamma ad ascoltare tutto l’elenco di disgrazie a cui sarà sottoposta se non si geovizza).

-Mamma…acc…il lampadario dondola…-

-Santosignore…non sarà un terremoto!-

-to-be-continued

lunedì 31 maggio 2010

Camera 105 - L'i-sola

Credo che quella sensazione di perenne instabilità che mi porto dentro venga da lì.
 Da quel sali scendi che si accendeva il lunedì mattina e si spegneva il venerdì pomeriggio, nella mia camera da letto.
Venivano a a portarmi via, loro mi imbragavano sulla barella e mi portavano giu' scale scale, una specie di ruzzolare controllato (secondo loro) che si fermava in posizione orizzontale a bordo strada dove con un gesto brusco mi infornavano in quel contenitore con le ruote.
La stanza era luminosa e asettica o dovrei dire che era luminosa e artefattamente familiare, in realtà c'era nella scelta dei colori e dei materiali un grossolano tentativo di travestire le stanze in qualcosa di vagamente simile a comuni stanze da letto. I toni si giocavano tra il noce e il carta da zucchero e alle pareti grandi poster con fotografie di cuccioli (gattini arruffati in una cesta di vimini immersa in un prato ma-gni-fi-co e una bimbetta paffuta seguita da una scia di papere che si facevano strada giulivi verso l'interno di un bosco che era un incanto), le stanze si specchiavano gemelle lungo un corridoio che finiva in un  grande salone, l'ingresso con i due ascensori che durante lo svolgersi della giornata cambiava assetto fino a trasformarsi verso il tardo pomeriggio in un proscenio con un sipario metallico. Con due occhi nocciola pronti a strizzarsi verso il cielo (pronti, sempre pronti...)
Luce rossa (Qualcuno! Qualcuno che sale!)
Piano T 
Piano 1
(...BUM-BUM-BUM.....tieniti il cuore, spemilo tra le costole e fingi che stai fissando quella crepa lì nell'angolo del muro)
Il cigolio si fermava seguito da un improvviso colpo metallico (da mannaia) era questo il fragore dell'attesa che ci trovava con gli occhi appesi a quelle porte.
Fino all'apertura...
(Qui c'erano due possibilità dalle quali si decideva l'andamento del resto del pomeriggio, il calcolo delle probabilità dava molte piu' possibilità di esaudire i propri desideri che non giocare al Lotto, era come puntare su Rosso e Nero...cinquantapercento di possibilità di spalancare gli occhi e far risalire gli angoli delle labbra all'insù e dare forma a dei bottoncini  nelle guance oppure di schiantarsi contro la faccia di suor Giuliana -che non era proprio una santadonna ma ve lo racconto in un'altro momento- o del dottor Pascale o della mamma di Mario o della mamma di Serenella o della mamma di chiunque ma...non della propria -è inutile che ti dica che era come aver puntato un milione di trilioni di euro su rosso e veder fermare la pallina sul numero-o-o-o-o...NERO!-)
Così, in quell'atrio scommettevamo le nostre speranze puntando su quelle porte: Rosso o  Nero.
...please, hold on...